domenica 4 agosto 2013

"L'obiezione del Male" - Padre Giuseppe Barzaghi

Di seguito la trascrizione del primo incontro della conferenza "Lo sguardo della sofferenza". Relatore: Padre Giuseppe Barzaghi, O.P.

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Devo dire che mi son sentito veramente a disagio su questo tema: io non sono fatto per il negativo, sono fatto per il positivo. Dovendo trattare di una cosa negativa come è il male, dovevo adattarlo a me stesso. Questo vuol dire che, solitamente, anche le cose debbono adattarsi a noi: l’adattamento è sempre reciproco. Allora l’ho trasfigurato con questo titolo: “Lo sguardo della sofferenza”. Il problema del male è un problema più soggettivo che oggettivo: per questo che noi diciamo: “tu non immagini neanche quello che ha sofferto quella persona lì”. Il male è obiettivo ma la sua trasfigurazione è nell'anima di chi lo patisce. 

Allora dico: per adattare a me la trattazione del male dico, per non fare pasticci insomma, bisogna parlare dello sguardo della sofferenza, in cui c’è il richiamo dell’oggettività dell’essere toccati dal negativo ma questa sofferenza cade sempre dentro uno sguardo. E quando vi cade, a seconda dello sguardo, cambia faccia: questo vuol dire “trasfigurare”. Io sono fatto così, ho fatto degli studi che portano ad esigere questa trasfigurazione, che vuol dire vedere il positivo nel negativo.

I più grandi geni dell’umanità, i maestri dello Spirito, hanno l’abilità di vedere il positivo nel negativo: hanno una tale abilità di essere capaci, addirittura, di vedere il negativo nel positivo. Eh… questa è grossa! Vengo da Bologna ma la matrice è briantea (dall’accento si capisce). Saper vedere anche il negativo nel positivo non vuol dire disprezzare o banalizzare il positivo: significa rieditare il suo speculare, il positivo nel negativo; vuol dire il “negativo non è mai assoluto. È incrostato in un positivo”. 

Bisogna sapersi adattare a questa circolarità presente tra bene e male e questa facoltà sta tutta nello sguardo; proprio per questo non dobbiamo pensare che le riflessioni da sviluppare in questi incontri siano semplicemente delle riflessioni di carattere tecnico – teologico o filosofico; c’è anche questo ma non c’è mai filosofia slegata dall’intuizione spirituale. Il grande filosofo, anche quello sistematico, è ispirato: trascinato via. Altrimenti trattasi di copione puro. 

Dicevo: le tematiche da affrontare hanno un carattere dogmatico, quindi di dottrina e di ragione ma l’ambiente di questo ragionamento, di questa dottrina è sempre un ambiente di fuga: bisogna imparare a lasciarsi incantare. Quando siamo incantati, non possiamo essere tolti dal nostro incantesimo. “Fuga” vuol dire saper mirare con lo sguardo dove tutto viene contestualizzato pacificamente. “C’è il male!”; adesso ti faccio vedere che c’è il bene, il male è incastonato nel bene inamovibile. Questo trascinamento altrove, nel Cristianesimo, si chiama “Fede”. Adesso vi faccio vedere una cosa bellissima: noi non siamo capaci di vedere le cose perché distratti in quanto insofferenti, cioè non sofferenti (chi non vuole soffrire: “Sofferente”: sub = sotto; fero = porto). Chi sopporta è debole o forte? È lì e sopporta. Quando siamo insofferenti vuol dire che non siamo ancora messi in quella condizione: non sappiamo cosa vuol dire stare sotto e portare. Anche quando il Vangelo ci introduce nelle cose più belle i nostri occhi diventano quelli del Vespertiglione (pipistrello), richiamando Aristotele.

Rispetto ai primi principi il pipistrello chiude gli occhi; se noi leggiamo in questo modo il Vangelo non ci accorgiamo di nulla. La visione che si deve avere dello sguardo della sofferenza è quella del trascinamento, mirando un punto di fuga in cui tutto viene collocato in una condizione di tranquillità, di pace. Voi conoscete il ricco epulone? Nell’episodio evangelico, nella redazione di Luca, si mettono a confronto il povero Lazzaro e il ricco; tutti noi siamo abituati da bambini a ricordare questo episodio così: “Tu hai avuto i tuoi beni in questa vita e ti prendi la punizione nell’altra vita, tu hai avuto i tuoi mali in questa vita e ti prendi la gioia nell’altra”. 

Ma qui c’è scritta un’altra cosa: avete visto i film di don Camillo? Quando Peppone si arrabbia perché il figlio maggiore non studia e scappa dal collegio, don Camillo va a prenderlo, lo porta a casa e dice: “è inutile che lo porti a studiare, è cresciuto nei campi, lascialo stare”. C’è una scena, nella classe, dove è tornato il figlio di Peppone, emblematica: tutti gli altri bambini stanno scrivendo e questo bambino guarda l’uccellino fuori dalla finestra. Adesso io vi dico: mettetevi nella testa che il vostro sguardo deve essere come quello di quel bambino lì. Guarda cosa c’è scritto nel Vangelo (Lc 16, 22): Factum est autem ut moreretur mendicus et portaretur ab angelis in sinum Abrahae mortuus est autem et dives et sepultus est in inferno”. 

L’ho letta in latino perché se l’avessi letta in italiano, con la velocità con cui si legge solitamente, chi avrebbe fatto attenzione? C’è scritto così: “Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli di Dio nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto”. Se il Vangelo usa quelle parole lì, non una di più, non una di meno c’è un motivo: se trattasi di ispirazione, il Signore ha voluto così. Che differenza c’è quindi? 

La differenza che c’è tra uno che ha sempre pensato: “si mangia, si beve, si dorme e quando si muore ti mettono sotto terra”. L’altro, che viveva sogni di speranza, fu portato dagli angeli, non da un angelo, nel seno di Abramo. Allora, capite che c’è una bella differenza tra vedere questa parabola incentrata sul fatto che uno è cattivo, l’altro è buono, uno è castigato, l’altro no, etc. e questa visione. Ma perché dovete leggerlo così? 

Questo è un versetto, il 22, è decisivo: il povero Lazzaro è morto. Oh, si sono mossi gli angeli di Dio, le creature angeliche! Queste, come numero, sono superiore a tutte le creature sensibili. Si mossero gli angeli di Dio, per uno solo! Quando si dice “Il Signore degli eserciti” puoi mica dire “il Signore delle guardie svizzere”, no? Il Signore degli eserciti delle schiere celesti: arrivano loro e il povero viene trascinato via. Se si considerano le cose da questo punto di vista possiamo domandarci: “Esistono gli angeli? Si muovono tutti?” Che esistano gli angeli posso dimostrarlo, che si muovano proprio tutti no. Ma sai qual è la differenza? Quando io vedo un malato, non sono contento ma so che vi è qualcuno più forte di me che lo aiuta, minimo un angelo custode. Mettetevi al suo posto: cosa sperereste? Cosa occorre? Saperlo sentire come è stato sentito da chi l’ha scritto e da chi l’ha ispirato. E quando senti così sei portato in fuga anche tu. Chi ti prende? Se sei trascinato, la forza è di colui che ti trascina. E se ti trascina Dio chi ti prende? Nessuno! Non si chiama “fuga” lo scappare da una responsabilità: si dice “andare in fuga” la capacità di traguardare, trans – guardare. I corridori in fuga di cosa hanno paura? Non si voltano neanche indietro! Il finisseur cosa fa? A cinquantacinque all’ora guarda avanti. Trans – guardare vuol dire guardare oltre, al di là dello sguardo. Con la fede si vede qualcosa? Vado al di là dello sguardo. 

Questo trascinamento è il modo con il quale vanno contestualizzate queste esperienze di male, di sofferenza: c’è Qualcuno che mi sostiene, io sto sotto e porto. È così importante la faccenda che addirittura Gesù ha bisogno del Suo conforto. Siamo sempre nel Vangelo di Luca: è un Vangelo di sguardi. Bisogna sempre leggere i frammenti: tanti sono quelli che possono ricordare a memoria il riassunto, i capitoli, etc. il problema sono i frammenti, perché i frammenti li becchi così: sei lì a ripetere e non te ne accorgi. Qui c’è un frammento di Gesù nell’orto degli ulivi: in questa situazione c’è la preghiera di Gesù rivolta al Padre nella quale dice: “se è possibile passi da me questo calice, tuttavia sia fatta non la mia ma la Tua Volontà. Gli apparve, allora, un angelo dal cielo, che lo confortava”. Confortans eum: si vedono gli angeli? Perché arriva? Perché nelle altre redazioni non si vedono? Perché è bello pensare così; Dio ha voluto così. “Et factus in agonìa prolixis orabat”. “Factus in agonia”: ecco, tra poco non respira più. Guardate che è nell’orto degli ulivi, non è ancora in agonia; entrato nel suo “agone” (agone non è accrescitivo di ago: agone vuol dire "combattimento". Quindi: entrato nel suo combattimento). Quelli che entrano nel combattimento come si chiameranno? Agonisti: l’atleta è il lottatore; adesso so che devo sopportare, devo essere forte, perché entro nella lotta. Chi era l’atleta del Signore? San Paolo (“Io, l’atleta del Signore!”). Certo che gli manca il fiato, è entrato nell’agone! Tutti i più grandi scalatori sono senza fiato. E anche quando si fermano ansimano. C’è questa idea per cui entrare nell’agone significa effettivamente entrare in qualcosa che ti fa mancare il fiato: il sofferente, il sopportatore è un atleta. 

Questo modo di inquadrare l’esperienza della sofferenza dovrà avere anche dei momenti di riflessione, di giustificazione razionale: se si abbandona questo sguardo qua, però, tutto diventa insipido. Nelle questioni in cui si gioca, la saggezza vale di più in colpo di genio che un sillogismo in barbara. Il colpo di genio ce lo abbiamo quando siamo ispirati. Di solito si dice: “il male è una grande obiezione”. Parli della bellezza di tutte le cose e c’è sempre lo spiritello demoniaco dietro:“Guarda la bellezza dei fiori!”; “marciranno tutti”. Endre Ady, grande poeta decadentista ungherese: “amo le rose malate, amo la vita che se ne va, le donne sfiorite e vogliose”. Cosa ci vuole per vedere la vita così? Ci vuole l’ispirazione del poeta. Anche i momenti più banali, dentro lo sguardo della Fede, diventano poesia eccelsa. Si intendono con lo sguardo che è l’ultimo: ti resta solo chiedere di potere contemplare cosa si stanno dicendo con lo sguardo ultimo. Perché? Perché sono in fuga. Tu non c’entri; ma loro c’entrano. Bisogna che recuperiamo sguardo della Fede che può attutire qualsiasi strepito.

Un altro esempio. Quando facevo il liceo: occupazione un giorno sì un giorno no. Oh, ci si accorgeva che nelle classi c’erano dei geni! Non sto facendo la litanìa della bellezza della contestazione, era una cavolata! Oh, però, guarda qua: c’erano dei geni! Non era mica secchione, era uno scemo come te. Va lì e fa una lezione su Beethoven: studiava il violoncello. E quell’altro? Oh, sa tutto sull’uomo di Neanderthal e fa lui la lezione. Questo era il positivino nel negativone. C’erano le assemblee: il preside doveva prenotare un teatro perché l’aula magna non c’era, etc. Allora cominciavano i rivoluzionari col megafono: “questo è un momento di lotta perché…”, ad un certo punto uno di questi sviene. Il preside, contestato da tutti, viene giù dall’androne; tutti lì che urlano. Si toglie la giacca, gli tira su la testa: che figura di merda che abbiam fatto!  Quello che era contestato è venuto giù, si è tolto la giacca e lo ha salvato. Capisci cosa vuol dire? È sempre una questione di fuga, di trascinamento. 

Questo era solo un esempio. Ma nelle cose che riguardano lo spirito bisogna avere questo occhio attento al punto che fonda tutto: questo non è mai frutto di ragionamento; perché, in questo caso, sarebbe una conseguenza. Una conseguenza ha bisogno di un antecedente che lo fonda: è l’antecedente che non consegue a nessuno. E chi lo pone? L’intensità dello sguardo: tutto cade dentro uno sguardo intenso; è fatto perché tutto gli cada dentro. Se uno sguardo non fosse fatto per questo sarebbe uno sguardo vuoto, cioè assente; quando non è assente, è presente (pre esse = tutto davanti a sé, tutto nello sguardo). Il problema del male, quindi, nella sua più profonda e intensa trattazione è solo e soltanto una questione di sguardo. Prima vi ho detto che i grandi spiriti sono questi che sanno vedere il positivo nel negativo e viceversa. Il giusto: quando una cosa è “giusta” non è piatta, è adeguata. Solo che per riuscire a vederle adeguate, bisogna riuscire a vederle. Guarda: tutto è adeguato. “Eh ma io non riesco a vederlo”. Questo è il colpo di genio! Va bene così. Va bene così. Questo me lo ha insegnato mio papà. Avreste preferito Fichte no?  

Il compito del saggio che tende all’infinito perché l’io trascendentale pone in sé un io empirico che si contrappone a  un non io empirico e l’io empirico tende a paragonarsi all’io trascendentale e non potendo va all’infinito, quindi non avrà mai la verità ma la ricerca della verità: Lessing. Invece mio papà mi ha insegnato questa cosa qua: se tu vai nell’antologia della memoria, trovi le citazioni più belle. Vi ricordate l’episodio di Vermicino? Alfredino Rampi, caduto nel pozzo artesiano? Padre Barzaghi, in quell’anno, era matricola di filosofia e le matricole ne sanno parecchio di Platone, di Aristotele e anche di Kant. Lì, naturalmente, tutte le obiezioni le tiravo fuori. Mio papà mi guarda e mi fa: “non c’è nulla da capire”. A cosa serve l’obiezione? 

Supposto che sia solida, varrebbe il 50%. E sul 50% cosa fai? Scegli ciò che maggiormente affascina. Chissà quanti episodi avete dentro alla memoria. Non chiamiamola “enciclopedia”… quella è roba illuminista. Non erano capaci di sistematizzare e allora hanno ordinato tutto in sequenza. “Eh, l’illuminismo, gran ragionamento…”. Sì, ordine alfabetico! Prima c’erano le cattedrali speculative, tu capivi perché un determinato tema veniva prima di un altro. E adesso? La P viene prima della Q. La Y viene prima della V? e la X? Insomma, guardiamo bene: le cose dense stanno nello sguardo. L’obiezione del male, che è fastidiosa, come si risponde? Obiectum, te lo metto davanti alla faccia. Ti giri? Te lo rimetto. Con la ragione tutti siamo capaci ad obiettare. Per fare obiezione basta “Mah”, “Buh”, “eh”… il problema è trovare la soluzione.

La soluzione non è: “eh!”, “Uh!”, etc. Queste cose qui sono al giardino zoologico. Se l’obiezione è fastidiosa, ce l’hai sempre davanti alla faccia, cosa bisogna fare? Diventare compagnia lieta all’obiezione fastidiosa. Ricordare: diventare compagnia lieta all’obiezione fastidiosa. Vuol dire che la compagnia è sempre lì ma non si sovrappone. Tutti vedono l’obiezione ma non vedono mica la compagnia lieta. La Fede ci trasfigura nello sguardo così da diventare compagnia lieta all’obiezione fastidiosa. La compagnia lieta, con la sua letizia, ti dice: “guarda là”, ti porta nella fuga dello sguardo dell’anima. Di fronte ad un’obiezione fastidiosa vale più questo discorso che la controbiezione all’obiezione ancora più arcigna: troveremmo due persone che disputano sul malato. Bisogna uscire da questa ottica qua.

La riflessione sul tema del male, la teodicea di Leibniz, sono interessantissime quando si fanno nell’astrazione del cesto delle nuvole di Aristofane. Questi aveva messo Socrate, in una sua commedia, dentro una cesta, mentre guardava le nuvole. Perché? Perché Anassimene aveva detto che l’intelligenza infinita era aria; l’aria infinita è il cielo. I discorsi accademici sono dentro questa cesta ed è giusto farli, perché se non fai sapere cosa metti dentro la cesta non ti pagano; il problema è uscire dalla commedia della cesta e delle nuvole, vuol dire andare a toccare efficacemente lo spirito filosofico che c’è dentro ciascuno. Ma per farlo occorre l’ispirazione.

Perché uno si iscrive a matematica? Il piacere matematico è una spiegazione non matematica. La stessa cosa vale nella filosofia. Quindi, di fronte all’obiezione del male dobbiamo trasformarci in compagnia lieta, che può essere taciturna ma il male non può niente. Attenti: io non vivo in ospedale come i dottori o le infermiere. Però, sai, se uno vive in un convento, dove prima eravamo 50, 45 poi 40, 35… capisci che lì tu puoi trovarti di fronte uno che ha novant’anni e uno di venticinque: muore quello di venticinque. Si è sempre immersi in questa cosa: è come se ci si abituasse, si crea l’habitus (che è una qualità buona) per cui si cominciano a intendere queste cose dal punto di vista claustrale, dell’universo chiuso, perché non si può andare al di là dell’universo. Il chiostro è l’universo: c’è dentro tutto, se trovi qualcosa al di là niente altro sarà che universo. Solo che se tu cominci a stringere, stringere, e stringere diventa un’aiuola: per Kant è quell'aiuola che ci fa tanto feroci. C’è tutto, anche questo bellissimo sentimento.

Certe esperienze sono molto belle. Questo frate che stava morendo intona il “Salve Regina” con le labbra. L’assoluto presente è tutto qui: tutto è visto nello sguardo in una concezione speculare, di specchio; tu vai da un’altra parte, lo specchio ti riporta indietro con tutto. “Ci sarà l’aldilà?”, guarda, è l’al di lì: è presente e non lo vedi. Si specula tutto, si riflette tutto. Dentro lo specchio guardo me stesso. In questa riflessione totale propria dello sguardo speculativo della fede si matura il senso del positivo, del negativo e del negativo nel positivo.

Adesso lo devo dire: il più grande genio (guarda, saremmo in due tre ad essere d’accordo, non mi interessa) musicale: Johann Sebastian Bach. Lui riusciva a vedere queste cose (positivo nel negativo, etc.). Anche se ha delle cose estremamente liete e gradevoli, tac! ti fa una rimembranza di morte; se c’è una cosa luttuosa e sgradevole ti mette dentro il sapore della vita, ti fa vedere il positivo nel negativo e il negativo nel positivo. 

Dicevo prima, col dottor Spinetti, ho sentito l’ultima incisione di Pollini, il primo libro del clavicembalo ben temperato. Il primo brano, il primo preludio è in do maggiore, il giro più semplice, tonalità più lieta, naturale, lo conoscete? Uno quando ha musicato l’Ave Maria ha preso il clavicembalo ben temperato di Bach. Se togli Bach togli il fondamento. Do maggiore, semplice, la tonalità più lieta tutte le note bianche, tonalità più lieta. Il grande Glenn Gould diceva: “se volete farmi un’offesa, dite che somiglio caratterialmente alla tonalità di Do maggiore”. Ma in uno sguardo teologico, anzi, teologale come quello di Bach, diventa una tonalità magnifica, almeno quel brano lì. Il cantabile è solo la nota bassa. Alla fine, quando sembra che la tonaltià presagisca l’ascensione. La tonalità minore, invece, accompagna lo stato di mestizia. Avete mai sentito la fuga in sol minore di Bach? Sol minore è una roba da funerale. Sì, ascoltala. È il girotondo dei bambini! Ha ribaltato la faccenda: ti ha fatto vedere il positivo nel negativo, prima il negativo nel positivo. Questo qui è uno sguardo in fuga.

 Padre Giuseppe Barzaghi



1 commento:

  1. spettacolare... padre giuseppe non stanca mai anche a rileggerlo mille volte... come fa? mistero

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